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La distorsione di caviglia

Andrea Massimo Emilio Longinotti • 31 luglio 2022

 La  distorsione di caviglia un infortunio assai comune


La caviglia è un'articolazione composta da diversi segmenti ossei (tibia, perone, astragalo e calcagno) e su di essa poggia tutto il peso corporeo, inoltre, grazie alla sua conformazione, può compiere diversi movimenti: flessione plantare, flessione dorsale, supinazione e pronazione, inversione ed eversione che le garantiscono una certa libertà di movimento. Spesso ci rendiamo conto della sua fondamentale funzione nel momento in cui per qualche motivo qualcosa ne inficia l’efficienza. Una buca per strada, un movimento errato o il semplice inciampare può provocare una storta di questa articolazione con conseguenze più o meno gravi. La distorsione alla caviglia risulta essere il più frequente trauma muscolo-scheletrico dell'arto inferiore . In Italia, ad esempio, si stimano circa 5000 traumi distorsivi alla caviglia al giorno, questo significa che è uno dei traumi più comuni negli sport (20% traumi sportivi) e nelle attività ricreative.
Anche se può essere un evento molto doloroso, nella maggioranza dei casi il recupero è completo, quando il percorso di riabilitazione è pianificato in modo corretto ( la disfunzione diventa cronica nel 30% dei casi e sono frequenti le recidive).

Vediamo più nello specifico di che si tratta


L’articolazione tibio-tarsica, comunemente chiamata caviglia, possiede una buona stabilità intrinseca grazie all’incastro che si presenta tra l’astragalo e i due malleoli (peroneale e tibiale), uniti da una robusta sindesmosi, con funzione di contenimento. La superficie a troclea dell’astragalo, più ampia anteriormente che posteriormente, permette una maggiore mobilità nella direzione della flessione plantare rispetto a quella dorsale, mentre i movimenti d’inversione e di eversione sono limitati dai legamenti che forniscono stabilità (medialmente, il legamento deltoideo, si oppone ai movimenti d’eversione, mentre, lateralmente, il legamento collaterale esterno, si oppone ai movimenti d’inversione della caviglia. Esso è formato da tre fasci distinti: il peroneo-astragalico anteriore, il peroneo-calacaneare ed il peroneo-astragalico posteriore). A supporto di questa struttura ci sono anche degli stabilizzatori dinamici che sono medialmente il muscolo tibiale posteriore ed il flessore comune delle dita e il flessore lungo dell’alluce, e lateralmente i muscoli peronei breve e lungo.

Le disfunzioni più comuni in cui può incorrere questa articolazione sono di tipo degenerativo (come per tutte le altre articolazioni) e di tipo traumatico,


Nella maggior parte dei casi la distorsione alla caviglia è provocata da un evento di natura traumatica come può accadere di frequente nella pallacanestro, nella pallavolo, nel calcio, nella pallamano e nel tennis, a causa dei gesti tecnici tipici di questi sport come la ricaduta da un salto su un solo piede, o talvolta su quello dell’avversario, i cambi di direzione, le finte di gioco, la scivolata, Secondo le statistiche gli sport dove questo trauma è più frequente, in ordine crescente, sono: pallavolo (56%), basket (55%), calcio (51%) e la corsa di resistenza (40%).

 Altre volte l’evento traumatico può essere causato da strade con avvallamenti, buche, strada dissestata o il semplice inciampare; possono concorrere infine anche deficit di natura posturale, calzature non idonee (come nel caso di scarpe con tacchi esagerati) e traumi passati. Può essere interessante anche citare uno studio che ha misurato il tempo della reazione muscolare durante la simulazione di una distorsione di caviglia poiché la struttura del piede è capace di influenzare gli aspetti di controllo neuromuscolare, essendo responsabile della stabilità posturale e della propriocezione. Il gruppo di osservazione comprendeva volontari con piede neutrale, con piede pronato e con piede supinato (stabilito misurando la distanza del tubercolo dello scafoide da terra). I risultati delle osservazioni hanno evidenziato che i partecipanti con struttura pronata o supinata del piede avevano tempi di reazione più lenti del muscolo peroneo lungo rispetto ai partecipanti con piede neutrale. Gli autori dello studio hanno trovato differenze anche per il muscolo tibiale anteriore e medio gluteo. Da ciò sembrerebbe derivare il fatto che anche la struttura del piede del soggetto può influire sulla possibilità di incorrere o meno in questo tipo di trauma.

Appare chiaro che la distorsione alla caviglia è una problematica piuttosto diffusa sia tra gli sportivi che tra le persone comuni e consiste nella perdita momentanea dei rapporti tra i capi ossei di tibia e perone con l’astragalo.


Come già detto i legamenti insieme ai muscoli, tendini e segmenti ossei assicurano la stabilità dell'articolazione. Queste strutture devono lavorare in maniera coordinata per garantire un corretto funzionamento ed un adeguato sostegno del peso del corpo, la caviglia deve essere sempre ben libera nei movimenti ed avere una buona stabilità.

Tibia e perone formano una loggia in cui viene accolto l’astragalo per consentire il movimento di quest’ultimo. Questa chiusura di forma garantisce un incastro molto stretto che non consente grandi movimenti laterali migliorando la stabilità dell'articolazione, di conseguenza se un movimento è troppo ampio, oltre il range di movimento dell'articolazione, muscoli, legamenti e tendini che la compongono possono subire delle lesioni che vanno dallo stiramento alla rottura


Quali sono le strutture che maggiormente vengono sollecitate da un trauma distorsivo della caviglia?


I legamenti del collo piede possono essere distinti in esterni ed interni. La conformazione scheletrica della caviglia, e la maggiore resistenza delle strutture legamentose mediali, spiegano perchè sono più frequenti le sollecitazioni traumatiche in inversione e le lesioni del legamento collaterale esterno. I legamenti del comparto esterno sono costituiti da: legamento collaterale esterno (formato da leg. astragalo-peroneale, peroneo calcaneare e perneo-astragalico posteriore) e il leg. Tibio Peroneale sia anteriore che posteriore. Fanno parte dei legamenti del compartimento interno: il leg. collaterale interno denominato leg. deltoideo.




La distorsione alla caviglia si verifica quando l'articolazione della caviglia si piega o si torce in modo eccessivo. Le distorsioni più frequenti interessano la parte esterna della caviglia e provocano dolore e gonfiore immediati. Solitamente il dolore è localizzato davanti e sotto il malleolo peroneale. Il movimento tipico avviene quando la punta del piede è rivolta verso il basso e la caviglia ruota bruscamente all'interno.

 

L'entità della distorsione dipende dall'energia che viene esercitata sulla caviglia, per cui non sempre dipende dal tipo di caduta o dalla velocità della corsa, ma possono concorrervi altri elementi quali il peso dell’individuo e il meccanismo con cui avviene l’infortunio. Un soggetto obeso, ad esempio, può subire danni rilevanti anche in seguito a una caduta banale. Una distorsione provoca una serie di eventi che si susseguono secondo una sequenza piuttosto precisa. Le strutture di sostegno, cioè, si lesionano una di seguito all'altra seguendo un iter preciso: Durante il movimento di inversione il primo legamento interessato dal trauma è quasi sempre il peroneo-astragalico anteriore e, se l’intensità della sollecitazione lesiva non si esaurisce, sono coinvolti i legamenti peroneo-astragalico posteriore e il peroneo-calcaneare. Nelle sollecitazioni di eversione, data la robustezza del legamento deltoideo, la prima struttura interessata dal trauma è il malleolo esterno che può fratturarsi.


Talvolta vi è un’infiammazione dei tendini peronieri.


Le distorsioni in eversione che provocano la frattura malleolare sono diagnosticate tramite una radiografia e sono curate secondo linee guida internazionali ortopediche che prevedono ingessatura o intervento, riposo funzionale e riabilitazione dopo circa 30/40 giorni. Bisogna ricordare anche che in una distorsione mediale della caviglia , a seconda della gravità della lesione in eversione, può essere presente anche il dolore nella parte laterale della caviglia, a causa dell’impingement dell’astragalo e del malleolo laterale. Generalmente la frattura è accompagnata da uno qualsiasi di questi sintomi:

(1)dolorabilità lungo la punta del bordo posteriore del malleolo laterale,
(2) una sofferenza al di sopra del malleolo mediale,
(3) l’incapacità del paziente di sopportare il peso,

(4)dolorabilità con la palpazione alla base del quinto metatarso,
(5) dolorabilità del tubercolo dello scafoide



Un altro tipo di distorsione che può singolarmente o in concomitanza con un problema tibio-astragalico, è la “high ankle sprain” (distorsione alta della caviglia). Essa avviene nella regione di contatto tra perone e tibia (sindesmosi tibio-peroneale), superiormente al complesso della caviglia. Le lesioni alla sindesmosi tibio-peroneale distale viene comunemente chiamata “alta distorsione alla caviglia” e può verificarsi con una rotazione esterna del piede e/o un’estrema dorsiflessione di caviglia. In questa condizione, sono quasi sempre presenti dolore e gonfiore prossimale che si estende al legamento tibio-peroneale anteriore nonché alla porzione posteriore della caviglia. La palpazione dello spazio interosseo e l’uso della compressione, della rotazione esterna, e alcune prove di compressione in flessione dorsale possono essere utili nella diagnosi. Tuttavia, un recente studio ha rilevato che in quelli con una distorsione acuta alla caviglia, un esame clinico può essere inadeguato per individuare una lesione da distorsione alta di caviglia

Altri due meccanismi traumatici più rari sono l’iperflessione plantare, tipica del calcio, dove l’atleta urta violentemente il collo del piede contro il terreno o il piede dell’avversario, e l’iperflessione dorsale, nella quale la troclea astragalica tende ad impegnarsi nella pinza bimalleolare allargandola.


Cosa fare in caso si verifichi una distorsione alla caviglia?


Innanzitutto occorre ricordare che qualora si riporti una distorsione alla caviglia in luoghi avversi, lontano da possibili soccorsi, è bene non togliersi la scarpa per esaminare la lesione. Il conseguente dolore associato a gonfiore potrebbe infatti ostacolare il reinserimento del piede nella scarpa.


Nel caso si verifichi un trauma distorsivo viene applicato in fase acuta un protocollo denominato Price (P= protezione. Proteggere le articolazioni coinvolte in una distorsione di caviglia non significa sospendere qualsiasi attività o movimento, ma evitare attività che aumentano il dolore oltre la soglia di tollerabilità. R= riposo. I= ice (ghiaccio). C=compressione. E= elevazione).

Può essere necessario, in alcuni casi, bloccare l'arto interessato dalla distorsione mediante bendaggio o apparecchio gessato.

Grazie all’ ecografia e alla risonanza magnetica può essere diagnosticata l’entità della lesione legamentosa. Vanno in genere eseguite dopo 72 ore dal trauma. La radiografia viene richiesta laddove si pensi ad una frattura che viene messa in evidenza da tale indagine strumentale.

A seconda della gravità si possono presentare diversi gradi di lesione:

lesioni di I grado, quando si ha una rottura parziale del peroneo-astragalico anteriore,

lesioni di II grado, quando è coinvolto nella lesione anche il peroneo-calcaneare,

lesioni di III grado quando si ha la rottura completa di tutti e tre i fasci legamentosi del collaterale esterno.

Le lesioni di 1 e 2 grado vengono curate con terapia conservativa, terapia medica e riabilitativa. Il grado 3 di lesione legamentosa viene curato solo con la terapia chirurgica.

 

La Riabilitazione


Dopo una distorsione di medio-grave entità le fasi per la riabilitazione ottimale della caviglia sono 3:

1)Periodo di immobilizzazione più o meno lungo in accordo con lo specialista ortopedico e fisioterapia per la diminuzione del gonfiore e del dolore. Molto importante risulta la Riabilitazione Fisioterapica che interviene in fase sub acuta dove Il fisioterapista eseguirà mobilizzazioni della caviglia e del piede allo scopo di favorire la corretta cicatrizzazione dei tessuti molli lesionati e il recupero dell’articolarità. Sebbene il dolore e il gonfiore migliorino velocemente, più del 70% delle persone continua ad avere problemi. Infatti, fino all’80% delle persone subirà un’altra distorsione di caviglia.

"Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti , si comprende quindi l' importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo" Anche dopo che il trauma è stato curato si ha una percentuale variabile di pazienti, che va dal 10% al 30%, che lamentano una sintomatologia cronica caratterizzata da sinoviti, tendinopatie, rigidità, aumento di volume, dolore ed insufficienza muscolare, associati o meno ad instabilità del collo del piede con difficoltà a deambulare su terreni irregolari o episodi distorsivi recidivanti, a prescindere dal trattamento dell'episodio acuto. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non avviene solo a carico del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e muscolo-tendineo, intorno al complesso della caviglia.

 Ciò suggerisce che è importante curare meglio le distorsioni di caviglia. Infatti una ricerca pubblicata sul JOSPT nel numero di Luglio 2013 esamina e confronta i risultati di un programma di esercizi domiciliari con un programma di trattamento più complesso composto di terapia manuale ed esercizio supervisionato.

I pazienti che hanno ricevuto il programma di terapia manuale ed esercizio supervisionato hanno ottenuto una riduzione del dolore pari circa al 70% dopo 4 settimane e più del 92% dopo 6 mesi. Al contrario, i pazienti che hanno ricevuto unicamente il programma di esercizio domiciliare hanno ottenuto solamente una riduzione del dolore pari al 39% dopo 4 settimane e dell’80% a 6 mesi. Tra i pazienti del programma di terapia manuale ed esercizio supervisionato, l’abilità di eseguire le attività quotidiane è migliorata dal 66% alla prima valutazione all’87% dopo 4 settimane e del 97% dopo 6 mesi. Nel frattempo, quelli che hanno partecipato solamente al programma di esercizio hanno ottenuto un miglioramento della funzionalità fino al 73% dopo 4 settimane e all’88% dopo 6 mesi

I ricercatori hanno concluso che la combinazione di terapia manuale ed esercizio supervisionato era superiore al solo programma di esercizio domiciliare nel trattamento delle distorsioni di caviglia perché il programma combinato consentiva una maggiore riduzione del dolore ed un miglioramento della funzionalità.


2) Riabilitazione fisioterapica, recupero dell’equilibrio e rieducazione al passo, miglioramento della propriocezione. La riabilitazione propriocettiva (cioè gli esercizi mirati a stimolare e rieducare la sensibilità propriocettiva, quella capacità che ci permette di conoscere anche ad occhi chiusi la posizione del nostro corpo e dei suoi segmenti nello spazio) risulta fondamentale nella distorsione di caviglia per prevenire recidive e per riequilibrare e normalizzare i recettori podalici che hanno subito un’ alterazione della trasmissione degli impulsi. Infatti la ginnastica su tavola instabile è essenziale per ripristinare il circuito che veicola le informazioni dal “sistema nervoso centrale alla periferia”.

In particolare, la rieducazione propriocettiva nel caso della caviglia deve proporsi come fine quello di far acquistare all' articolazione tibio-tarsica una maggiore coordinazione nelle contrazioni muscolari e delle leve ossee, in relazione al movimento per creare gli aggiustamenti necessari affinché il corpo si mantenga in equilibrio costante.




3) Rinforzo muscolare e ritorno al gesto atletico. E’ fondamentale considerare anche il rinforzo muscolare, in quanto un buon trofismo dei muscoli riduce il rischio di lesioni recidivanti e permette al paziente un recupero più efficace per ritornare ai livelli di prima del trauma. E’ buona prassi iniziare con esercizi molto leggeri, divisi in più serie con poche ripetizioni per incrementare gradualmente il grado di difficoltà, il numero di ripetizioni ed il carico degli esercizi.



Recupero del gesto


Quando l’atleta non avvertirà più dolore durante la deambulazione e non presenterà ipermobilità alle manovre dinamiche, si potrà intraprendere l’ultima fase riabilitativa con sedute atletiche che prevedono la corsa, prima lenta e rettilinea, poi a ritmo sostenuto, quindi a zig-zag ed in salita, e allenamento specifico della disciplina praticata

La fase relativa al recupero del gesto atletico, è mirata non solo al recupero della meccanica del passo normale, ma al recupero ottimale per tornare a svolgere attività fisiche come prima dell'infortunio 

Anche la riabilitazione in acqua risulta molto efficace per questo tipo di infortunio e prevede l'esecuzione di esercizi, molte volte gli stessi che si eseguono in palestra, con il corpo parzialmente immerso nell'acqua.

Questo tipo di riabilitazione sfrutta alcune leggi fisiche (come: il Principio di Archimede e la Reazione Viscosa dei fluidi).


Tempi di recupero

 

Una delle necessità più sentite dai pazienti è quella di capire quanto tempo sarà necessario dedicare al recupero prima di tornare alla situazione precedente l’infortunio. È doveroso ribadire il concetto che se non si segue un corretto programma riabilitativo la caviglia può diventare instabile, e si può instaurare una situazione in cui le recidive sono frequenti.

Detto questo il tempo necessario per il recupero funzionale completo, qualunque sia il trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane; il tempo necessario prima di tornare al lavoro varia dalle 4 alle 7 settimane; e prima che il paziente possa ritornare alla pratica sportiva occorrono 10 settimane. In genere una lesione legamentosa a carico del legamento astragalo peroneale anteriore guarisce completamente in circa 3 mesi.

tempi di recupero, di solito, negli sportivi professionisti sono più corti perché il tempo riservato alla riabilitazione è molto maggiore rispetto ad esempio ad uno sportivo amatoriale.


Più nello specifico, se volessimo valutare i tempi di recupero, in base al livello di gravità della distorsione della caviglia potremmo tenere in considerazione questo specchietto:

  • Grado 1: da 1 a 2 settimane;
  • Grado 2: da 15 giorni fino a 1 mese e mezzo;
  • Grado 3: per le lesioni gravi, che spesso necessitano di intervento chirurgico in artroscopia, i tempi di recupero vanno da 1 mese fino a 3 mesi salvo complicazioni.


Nel caso siate incorsi in questo tipo di trauma conviene comunque affidarsi all’esperienza di un Fisioterapista per evitare recidive, per effettuare il corretto rinforzo muscolare e per tornare alla propria attività sportiva.

Per qualsiasi informazione non esitate a contattarmi.

GRAZIE


Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 22 aprile 2023
Definizione Il GIRD (o internal rotation deficit of the glenohumeral joint) è un disturbo comune tra gli atleti, in particolare tra i giocatori di baseball, che colpisce la mobilità della spalla. Si tratta di un problema che può impedire la corretta esecuzione di alcune attività sportive e causare dolore e lesioni. In questo articolo di fisioterapia, analizzeremo il GIRD, le cause, i sintomi, la diagnosi e le opzioni di trattamento disponibili per i pazienti. Cos'è il GIRD? La traduzione letterale di GIRD (Glenohumeral Internal Rotation Deficit ) è deficit nella rotazione interna di spalla ed in particolare difficoltà a portare la spalla dietro la schiena causata generalmente da un trauma diretto alla spalla o da overuse (cioè da un sovra utilizzo) della spalla stessa in atleti che praticano sport cosiddetti overhead ossia con movimenti che portano spesso il braccio al di sopra della spalla e della testa. Si tratta di un disturbo molto comune tra i lanciatori di baseball, a causa dell'elevata sollecitazione degli stessi muscoli che causano la riduzione della rotazione interna. Il gesto del lancio tipico degli atleti overhead è un complesso fenomeno biomeccanico. Questo movimento, eseguito a velocità estreme, richiede la combinazione di flessibilità, forza, coordinazione e controllo neuromuscolare. La spalla del lanciatore deve presentare un’adeguata stabilità dinamica per effettuare il lancio, e per prevenire sintomi e/o lesioni. La spalla del lanciatore tipicamente presenta un’ipermobilità in alcune direzioni e un’ipomobilità in altre. Questo pattern atipico di movimento può essere attribuito a modificazioni strutturali della capsula, del labbro, delle strutture muscolari, dei legamenti e delle strutture ossee come risposta alle esigenze del gesto specifico del lancio. In generale, la spalla del lanciatore presenta un aumento della rotazione esterna e una riduzione della rotazione interna gleno-omerale (definita dall’acronimo GIRD, Glenohumeral Internal Rotation Deficit) se confrontata con la spalla controlaterale, alterazioni riconducibili a modificazioni sia delle strutture ossee (aumento dell’angolo di retroversione omerale) sia dei tessuti molli (ad esempio, asimmetria della tensione capsulare, in particolare ridigità della porzione posteriore). In alcuni casi di GIRD può non essere presente un aumento della rotazione esterna, con conseguente elevata probabilità di sviluppare un impingement interno patologico. In alcuni casi, il GIRD può essere presente anche nei non lanciatori, soprattutto in coloro che svolgono attività quotidiane che coinvolgono la ripetizione di movimenti del braccio. I dolori cronici alla spalla (sia in atleti overhead, -, sia in normali attività lavorative o quotidiane) sono spesso da imputarsi ad alterazioni nella forza e nella flessibilità oltre che dell’articolazione gleno-omerale anche di altre componenti della catena cinetica di tronco e arto superiore.
Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 19 marzo 2023
Definizione L’ alluce valgo è dovuto dallo spostamento verso l’esterno della base dell’alluce e dalla deviazione della punta dell’alluce stesso verso le altre dita. Questo determina un gonfiore localizzato e doloroso alla base dell'alluce (la cosiddetta “cipolla”), con conseguente infiammazione della borsa vicina (borsite) e attività degenerativa delle articolazioni (artrosi). Questo disturbo, che tende a comparire nell’età adulta, colpisce più frequentemente il sesso femminile (con un rapporto di 15:1 rispetto agli uomini), ma chiunque in realtà potrebbe soffrirne. Secondo dati recenti, in Italia circa il 40% delle donne è affetto da alluce valgo. Può manifestarsi a qualsiasi età, ma è intorno ai 40/50 anni di età che si registra il picco maggiore. LE CAUSE Le CAUSE sono da ricercarsi nella conformazione del piede in particolare questo disturbo si manifesta in persone che hanno il primo dito più lungo delle altre dita, o l’ipermobilità dal primo metatarso, o che hanno il piede piatto o che hanno problemi di peso, di postura o il basso tono muscolare. Vi sono però dei fattori di rischio che non sono da sottovalutare come la presenza di alcune patologie, come l ' artrite reumatoide e la gotta , o come alcune malattie del tessuto connettivo. Possono contribuire anche altre cause la principale è l’utilizzo di calzature non adatte che forzano il piede in una posizione poco naturale e che non ne agevolano il movimento mentre camminiamo I SINTOMI I SINTOMI classici sono identificabili con: dolore nella zona interessata, anche a riposo; arrossamento, intorpidimento e gonfiore; ispessimento della pelle , che appare dura e callosa (borsite comunemente chiamata cipolla); modifiche alla forma complessiva del piede; difficoltà a camminare (a causa del dolore). L'alluce valgo può peggiorare se non trattato e può indurre ulteriori disturbi, come ad esempio l'artrite a livello delle articolazioni dell'alluce o la deformità del secondo dito del piede, spinto fuori sede.
Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 2 febbraio 2023
 Definizione Il low back pain, o lower back pain, viene definito come «il dolore percepito tra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori, con o senza dolore alla gamba». Conosciamolo meglio analizzando un po’ di dati Il mal di schiena, o low back pain, costituisce l’affezione muscoloscheletrica più comune al mondo, seguita al secondo e al terzo posto, rispettivamente, dal dolore cervicale e dal dolore di spalla. Rimane importante ricordare che costituisce la prima causa di disabilità al mondo, Per capirne l’impatto in termini economici basti riflettere sul fatto che «costa» nei soli Stati Uniti 34 miliardi di dollari all’anno. Con queste cifre alla mano non è difficile immaginare che e che l’impatto sociale sulla vita delle persone sia in certi casi devastante. Dando ancora un occhio ai numeri sappiamo che secondo le stime del Global Burden of Diseases la prevalenza è di appena poco più del 9%, che nel corso della vita individuale si attesta tra il 49 e il 90%, e che il tasso di ricorrenza, un anno doppo il primo episodio, supera di poco il 30%. Numeri alla mano ci dicono che da uno studio effettuato su un campione di pazienti il tempo di recupero dal low back pain sarebbe di circa 7 giorni, ma a 12 settimane il 35%dei pazienti aveva ancora dolore e il 10% di loro manifestava dolore ancora dopo un anno dal primo episodio. Secondo un altro studio il 5% -10% dei pazienti non aveva ottenuto un recupero completo dopo 6 mesi dal primo episodio. Questi dati sono importanti per confutare l’assioma da qualcuno sostenuto che il mal di schiena passi da solo. Possono esserci dei fattori contribuenti? Se i tempi di remissione spontanea, infatti, tardano a venire il rischio è quello di incorrere in una cronicizzazione dei sintomi. In particolare la compresenza di comorbilità (diabete, artrite reumatoide, ansia, depressione, disturbi psicopatologici ad esempio), nonché l’esistenza di fattori contribuenti quali stimoli meccanici (principalmente), psicologici, ambientali può portare alla persistenza del dolore e ad un maggior numero di episodi durante l’anno o possono ritardare il recupero in termini di dolore, funzionalità, di ritorno all’attività lavorativa o sociale in generale. La stessa paura del movimento impatta in maniera significativa sulla prognosi di un paziente con low back pain. Anche una significativa e importante deprivazione del sonno in un paziente con low back pain cronico può portare all’acuirsi dei sintomi.
Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 2 dicembre 2022
Le distorsioni della caviglia sono una delle lesioni sportive più comuni tra i 15 ei 35 anni. Riprendiamo solo velocemente le tipologie principali di lesione che si possono verificare: si può avere una distorsione con meccanismo di eversione e quindi dolore sulla parte mediale della caviglia (malleolo interno, con possibile rottura del legamento deltoideo o del malleolo stesso). Questa lesione di solito dà spesso origine a dolore cronico mediale piuttosto che instabilità cronica sul lato mediale. Si può avere, come accade nel 90% dei casi, una distorsione con inversione della caviglia (quindi rimane interessato il malleolo laterale e tutte le strutture ad esso collegate, comparto legamentoso in particolare) e molte di esse portano a instabilità anterolaterale residua. Le lesione da contatto possono portare all’interessamento della sindesmosi della caviglia a causa della dorsiflessione forzata della caviglia e della rotazione esterna del piede. È stato stimato che le distorsioni della caviglia costituiscono tra il 15-56% delle lesioni negli sport dove frequenti sono le attività di corsa e salto, come ad esempio accade nel calcio, nel basket e nella pallavolo. La caviglia come sappiamo è altamente coinvolta nel gesto atletico in quanto deve, oltre che adattarsi al tipo di superficie sulla quale impatta il piede, essere in grado di bilanciare il corpo quando si muove al di fuori della sua area di equilibrio. Inoltre deve essere in grado di assorbire le asperità del terreno qualora questo fosse irregolare. Nella riabilitazione della caviglia questi aspetti devono essere tenuti ben presente e a maggior ragione quando di fronte ci troviamo uno sportivo. Per evitare l’insorgere di nuove lesioni occorrerà seguire un percorso terapeutico articolato in più fasi. Vediamo in cosa consiste questo tipo di riabilitazione
Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 8 ottobre 2022
Il primo caso descritto di lussazione di spalla si trova in uno dei più vecchi libri scritti dall’uomo, il Papiro di Edwin Smith (3000-2500 a.C). La spalla è un’articolazione molto complessa, la cui stabilità è garantita da tre sistemi: un sotto sistema attivo (rappresentato dai muscoli della cuffia dei rotatori, dai tendini bicipite e dal movimento scapolo toracico), un sotto sistema passivo (rappresentato dal cercine glenoideo, dai legamenti gleno omerali, dall’intervallo dei rotatori, dalla capsula articolare, dalla morfologia della glenoide, dal liquido e dalla negatività della pressione intrarticolare) e un sotto sistema di controllo (costituito da tutta una serie di recettori che conducono informazioni al Sistema Nervoso Centrale attraverso il Sistema nervoso Periferico) che concorrono tutti a mantenere la testa dell’omero all’interno della glena. Il deficit funzionale di uno solo di questi componenti non è sufficiente per l’insorgenza di una instabilità clinica. Così come l’eccessiva traslazione da sola non è sufficiente per stabilire una diagnosi di instabilità, lo è solamente, però, se è associata con un’evidente manifestazione clinica basata sulla storia del soggetto o su altre prove fisiche (Silliman e Hawkins 1993). E’ questo il caso ad esempio dei lussatori volontari.
Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 24 maggio 2022
La fibromialgia o sindrome che non si vede perché chi ne è affetto risulta invisibile agli occhi della gente e dei medici. Nella maggior parte dei casi chi ne soffre si trova a vivere una situazione di incomprensione da parte del medico di famiglia e molto spesso dei suoi familiari. Per lo più si è portati a pensare che si tratti di un dolore immaginario e quindi che il paziente debba essere seguito da uno psichiatra. Secondo le statistiche, infatti, ogni donna fibromialgica vede mediamente 7-8 medici prima di arrivare alla diagnosi. Anni di dolore, insonnia, stanchezza che non migliora con il riposo, difficoltà di concentrazione e disturbi della memoria a breve termine, isolamento sociale e incomprensioni possono portare, spesso, la paziente a una depressione indotta dalla malattia. La fibromialgia NON è una sindrome depressiva. La fibromialgia si traduce spesso in dolore cronico con costi sociali altissimi dovuti alle frequenti assenze dal lavoro, alla mancanza di adempimento delle attività quotidiane, al ritiro dalla vita sociale che spesso accompagna questa sindrome. L’impatto economico risulta oneroso così come per il sistema sanitario. Solo da pochi anni, in Italia è aumentato il numero di reumatologi che si interessano a questa sindrome. La sua storia, però, risale a quasi due secoli fa. Il 90% delle persone colpite da fibromialgia sono donne. Si stima che la prevalenza in Italia nella popolazione generale si possa aggirare intorno al 6-7% (che significa tra i 3 e i 4 milioni di individui affetti). La fibromialgia sarebbe quindi confrontabile per frequenza alla artrosi che da anni viene considerata la più diffusa malattia reumatica. La frequenza di fibromialgia nei pazienti che si rivolgono allo specialista reumatologo per dolore osteoarticolare è di circa il 20-25%. La fibromialgia è molto più frequente nel sesso femminile rispetto a quello maschile (da 5 a 20 volte) e l’esordio dei sintomi si verifica più spesso nella classe di età compresa tra i 20 e i 30 anni, ma poiché la progressione è lenta, spesso i pazienti si abituano ai sintomi finché questi diventano difficilmente sopportabili e si rivolgono pertanto al medico in età più avanzata. Le donne sono maggiormente colpite da questa malattia perché predisposte dal punto di vista neuroendocrino ad una alterazione dei meccanismi del dolore per i processi biologici cui vanno incontro nelle varie fasi della loro vita (menopausa, ciclo mestruale), ma anche perché sono più inclini a subire in modo notevole lo stress cronico psico-fisico legato alla vita moderna, che le vede impegnate su più fronti (lavoro, famiglia, figli). Che cosa è la Fibromialgia? Scopriamolo insieme. Il termine fibromialgia (FM) deriva da “fibro” che indica i tessuti fibrosi (come tendini e legamenti) e “mialgia” che significa dolore muscolare. La FM è quindi una malattia reumatica che colpisce i muscoli causando un aumento di tensione muscolare: tutti i muscoli (dal cuoio capelluto alla pianta dei piedi) sono in costante tensione. La FM era già stata descritta nella prima metà del 1800. Agli inizi del 1900 venne considerata una malattia infiammatoria dei muscoli (fibrosite). Alla fine degli anni ’40 venne esclusa la presenza di infiammazione e venne considerata una malattia psicologica. Il moderno concetto di FM e di tender points risale al 1978. Nel 1990 sono stati messi a punto i criteri diagnostici e nel 1994 la diagnosi di FM è stata accettata a livello internazionale con la cosiddetta “Dichiarazione di Copenhagen”. Si tratta quindi di una malattia conosciuta da molto tempo, ma che solo recentemente è stata meglio definita. I numerosi studi volti a capire le cause della malattia hanno documentato l’interessamento a livello di SNC (Sistema Nervoso Centrale) in seguito all’alterazione di segnale dei neurotrasmettitori , cioè di quelle sostanze di fondamentale importanza nella comunicazione tra le cellule nervose. In buona sostanza l’interpretazione dei segnali che giungono dalla periferia al nostro SNC vengono interpretati in modo errato e fornendo una risposta di ritorno alterata che si traduce o con percezione di dolore molto intenso in risposta a stimoli dolorosi lievi (iperalgesia) o attraverso una percezione di dolore in risposta a stimoli che normalmente non sono dolorosi (allodinia). La fibromialgia, come anticipato, è una malattia sistemica vera, che interessa i tessuti molli (e non le articolazioni) e si presenta con dolori muscolari, affaticamento cronico, ipersensibilità al dolore proveniente anche da stimoli cutanei innocui, mal di testa, disturbi del sonno. Questa alterazione periferica e centrale dei meccanismi del dolore fa sì che ogni stimolo, risulti doloroso. E il dolore è cronico, tale da comprometterne la vita intera. Le due caratteristiche principali della FM sono infatti la iperalgesia e l'allodinia. Uno degli effetti della disfunzione dei neurotrasmettitori, ed in particolare della serotonina e della noradrenalina, è l' iperattività del Sistema Nervoso Neurovegetativo (una parte del nostro sistema nervoso che controlla con meccanismi riflessi numerosi funzioni dell’organismo tra cui la contrazione dei muscoli, ma anche la sudorazione, la vasodilatazione e la vasocostrizione, ecc.) che comporta un deficit di irrorazione sanguigna a livello muscolare con insorgenza di dolore ed astenia e tensione. Tipico della FM, come di altri disturbi neurovegetativi, è che l’andamento dei sintomi varia in rapporto a numerosi fattori esterni che sono in grado di provocarne un peggioramento: c’è una evidente influenza dei fattori climatici (i dolori peggiorano nelle stagioni “di passaggio”, cioè primavera e autunno e nei periodi di grande umidità), dei fattori ormonali (peggioramento nel periodo premestruale, peggioramento in caso di disfunzioni della tiroide), dei fattori stressanti (discussioni, litigi, tensioni sul lavoro e in famiglia). Sintomi e diagnosi Nella fibromialgia la sofferenza fisica non è certo limitata a muscoli o tendini, dal momento che tutto l’apparato locomotore e le sue parti “molli” ne vengono colpite, le ripercussioni si hanno anche sotto il profilo cognitivo e neurologico.
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Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 14 aprile 2020
Il cerotto kinesiologico, noto anche come cerotto kinesio, è un cerotto elastico e flessibile, quasi identico alla pelle umana. È molto utile per trattare un'ampia gamma di lesioni sportive e per controllare situazioni infiammatorie. [presto on-line tutto l'articolo]
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Autore: Andrea Massimo Emilio Longinotti 10 aprile 2020
L’anca è la parte anatomica che unisce il bacino con la parte superiore della gamba. L’articolazione fra l’osso iliaco e la testa del femore, l’osso che sostiene la coscia, si chiama articolazione coxofemorale. È fra le più importanti del corpo: ci consente di alzarci in piedi, camminare, correre, pedalare, guidare... Con il passare degli anni è possibile avvertire qualche problema all'anca. Questa è infatti una delle articolazioni sulle quali si interviene più spesso chirurgicamente. L’anca è purtroppo una delle sedi anatomiche maggiormente soggette all’artrosi, probabilmente per via della notevole varietà ed ampiezza dei movimenti che deve consentire e delle notevoli forze che sopporta.
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